Ogni luogo che si rispetti ha un
“Inferno”, uno di quei posti cioè che sembrano uscire fuori da un film d’animazione, carico di atmosfere fantastiche e popolato di piccoli folletti del bosco.
Il luogo
esperenziale lo chiameremo perché inoltrarvisi è davvero l’inizio di una grande avventura. Si deve camminare in acqua e mentre il rumore sotto i nostri piedi riempie l’aria bisogna guardare a 360°, aprire i rubinetti dei sensi. Dal nostro
mondo lillipuziano riusciamo ad arrivare fino alla cima degli alberi che ci proiettano addosso la loro ombra e soprattutto il loro spirito.
Se si è visitato Formello e ci si vuole addentrare in questo luogo dal mistero impavido basta raggiungere la
Valle del Sorbo, direzione Santuario. Arrivati ai piedi di Santa Maria del Sorbo si riscende nel versante opposto da dove si è saliti, negli inferi appunto, un ventre scivoloso e meno esplorato di altri posti, per questo forse anche più affascinante.
Sul finire della lunga discesa che porta a incrociare il
torrente Valchetta Cremera si hanno due scelte, a sinistra il
Biotopo del Follettino, di fronte la
Cascata dell’Inferno. Entrambe queste due aree sono state caratterizzate come
S.i.c. ovvero Siti di Interesse comunitario,
biosfere dentro le quali il Parco di Veio sta cercando da anni di tutelarne le peculiarità.
In effetti il calpestio di visitatori disturba molto le specie in via di riproduzione come la
Salamandrina dagli occhiali, un nome buffo per definire un anfibio piccolino che vive in questi luoghi e ha trovato qui il suo habitat ottimale. E’ quindi doveroso evitare di inoltrarsi in questa parte di Parco in primavera quando le femmine entrano in acqua per depositare le uova.
Il percorso più entusiasmante del resto è quello
fluviale. E anche quello più accidentato. Molti alberi caduti hanno trasformato un corso altrimenti tranquillo in una ritmica altalena, un’ incredibile scenografia disegnata dalla Natura con tutta la sua potente drammaticità e poesia.
C’è un sovraccarico di
energia nelle valli che precedono la Cascata, qualcosa che entra nella pelle, un concentrato di vibrazioni positive e negative come una lotta tra pipistrelli e farfalle, una tempesta di sole e ombre, un chiassoso silenzio che divora le radici degli alberi e i passi.
Per raggiungere la gola si passa laddove i sentieri non esistono e quindi è più facile salire su sassi vestiti di muschio, incontrare carcasse di animali levigate, trovarsi in tratti più ampi di torrente dove l’acqua, nel gestire il corso, ha scavato le rocce trasformandole in piscine a cielo aperto.
E poi si scivola giù, lungo i pendii fangosi e si risale su, sfidando altri sassi più nudi e più grandi dei precedenti, fino a entrare nella gola dell’Inferno, una specie di scultura rocciosa dalle fauci larghe e dallo spirito tormentato.
Se si arriva fin li significa che
l’acqua è un misero rivolo, non c’è lo stupore che di solito si ha di fronte a una cascata, ma in altre circostanze, dopo le pioggie violente ad esempio, si rischia di non arrivare affatto. O comunque arrivarci con moltissime difficoltà.
Se ci si nasconde nella bocca della Cascata e si guarda in su, il disegno di un
cuore si materializza, ritaglia il cielo romanticamente. Se invece si resta li in silenzio si ha la sensazione di un
vocio di sottofondo come se una stanza segreta si celasse dietro la roccia, un piccolo passaggio misterioso che restituisce magia anche agli scettici.
Insomma, tornare indietro è di nuovo un’esperienza, un modo ancora diverso per vivere il cammino, non c’è più la meta ma c’è una
luce diversa, più densa, che si infila tra le chiome degli alberi e fa luccicare l’acqua sottostante, imperla le foglie verdi e si annida ovunque trovi una superficie ad accoglierla.
Si torna in superficie poco a poco e ci si guarda costantemente indietro come se si fosse lasciato li un
tesoro e desiderando allora di tornare un altro giorno, con la pioggia o con il sole, non fa differenza, perché questo Inferno ha altri colori da mostrare, altre stagioni da svelare, forse anche altri folletti da proteggere.