Il commercio

Privo di risorse tali da alimentare di per se stesse una viva richiesta e quindi un intenso movimento commerciale, il Piemonte deve tuttavia alla sua posizione geografica il fatto di essere stato e di essere tuttora attraversato da vivaci correnti di scambi. Naturalmente il volume e la composizione qualitativa di tali correnti sono cambiati con i tempi. Tracce di rapporti commerciali svolgentisi lungo le valli di Susa e di Aosta, per utilizzare i grandi valichi cui fanno capo, si hanno già in epoca preistorica. Tali rapporti dovettero intensificarsi quando le invasioni celtiche crearono una continuità di elemento etnico fra le due Gallie, la Transalpina e la Cisalpina, ma specialmente quando la conquista romana della Transalpina fece del Piemonte la principale porta di passaggio tra Roma ed Europa occidentale. E noto come sull'orma delle ferrate legioni romane movessero schiere di mercanti, e altri mercanti s'accompagnassero alle teorie di pellegrini, che in età barbarica e feudale presero a valicare i maggiori passi delle Alpi occidentali per raggiungere Roma e i Luoghi Santi di Palestina. Lo sfasciamento dell'impero Carolingio, la conseguente anarchia, le invasioni degli Ungheri e più ancora quelle dei Saraceni ebbero gravi ripercussioni sulle correnti commerciali che attraversavano il Piemonte e ne ridussero grandemente la portata.

Un deciso cambiamento intervenne in età comunale (secoli XII e XIII), in quell'età cioè, che si può chiamare il periodo aureo del commercio di transito per il Piemonte. Buona parte, di fatto, degli scambi che si attivano allora tra gli empori dell'Oriente mediterraneo e le grandi fiere di Champagne si effettua attraversando le Alpi occidentali, ed a essi concorrono produttori, intermediari, finanzieri di Alba, di Chieri, di Asti, che diventano i dominatori di vasti mercati e ai cui lauti guadagni si aggiungono, in Piemonte, quelli derivanti dall'organizzazione dei trasporti, e il provento di numerosi pedaggi. Ma quando, verso la fine del secolo XIII i frequentatissimi empori delle Fiandre e della Champagne cominciarono a decadere, anche il commercio di transito per il Piemonte subì una graduale, progressiva anemia. Al rimpicciolimento del campo d'azione fu di qualche compenso la crescente importanza dei traffici con le zone più vicine dei paesi d'Oltralpe, legate al Piemonte da comunione di vincoli statali o soggette all'influenza sabauda. Questa, come conscia dei futuri sviluppi commerciali, volge addirittura le sue ambizioni su Genova e su Savona. Dal commercio, di fatto, lo Stato sabaudo può attendere la vita o la morte, perchè, se è vero che i generi alimentari possono in complesso bastare al paese, questo deve dipendere dall'estero per tutti, o quasi tutti, gli articoli manufatti meno grossolani. E per di più, come risulta a chiare note dalle relazioni degli ambasciatori veneti, il commercio di importazione e di esportazione è quasi tutto in mano di mercanti stranieri, genovesi in primissima linea, che comprano a Lione, Genova, Milano, Venezia, e « vendono la roba quanto loro piace ».

Non molto diversamente andranno le cose sotto la dominazione napoleonica, che fa scontare i miglioramenti apportati alle comunicazioni transalpine e i relativi vantaggi del blocco antibritannico, monopolizzando in un senso unico ed a proprio esclusivo beneficio il movimento delle merci attraverso il Piemonte. L'unificazione dell'Italia non avrebbe dovuto soltanto significare per il Piemonte — pensavano i propugnatori subalpini del Risorgimento — un considerevole incremento dei rapporti commerciali con le altre parti della Penisola, ma anche un aumento dell'importanza della regione nel gioco degli scambi internazionali. E come sappiamo dall'eloquenza delle opere — si pensi, per esempio, all'arditissimo traforo del Fréjus — a questo effettivamente miravano. In realtà, dal 1850 al 1858, gli scambi commerciali del Piemonte con gli Stati esteri andarono intensificandosi, e il valore, tanto delle esportazioni quanto delle importazioni, si duplicò. Si sa pure che nel 1858 sopra 321 milioni di lire — valore delle importazioni nell'antico regno di Sardegna — 29 provenivano dai Ducati e dalla Toscana, 5 dagli Stati romani e 10.5 dalle Due Sicilie: e che sopra i 236 dell'esportazione, 8 milioni erano destinati ai Ducati, poco meno di 3 milioni agli Stati romani, e 2,5 alle Due Sicilie.

La sommità del valico del Pino frequentato dai commercianti nel Medioevo.

 

Seguendo la politica commerciale dello Stato sardo, il nuovo Regno perfezionò accordi commerciali atti a stimolare i traffici con la Francia, che continuò a mantenere, fin verso il 1889, il primissimo posto fra i principali acquirenti di merci italiane. Il fatto che le sete gregge e i vini fossero i prodotti maggiormente esportati in Francia mostra come di tali accordi notevole beneficio toccasse al Piemonte. E spiega anche come l'aspra rottura dei rapporti commerciali tra Francia ed Italia avvenuta nel 1888, e il conseguente passaggio alla Germania della supremazia nel valore degli scambi, abbiano gravemente intaccato l'importanza commerciale del Piemonte e di Torino, a vantaggio principalmente della vicina Lombardia e di Milano.

Il declino del ruolo del Piemonte nel complesso delle relazioni commerciali tra l'Italia e gli altri Stati fu solo parzialmente controbilanciato dallo sviluppo di una produzione industriale rivolta anche all'esportazione. Effettivamente in Piemonte il movimento dei traffici non ha avuto nè la vivacità, nè l'incremento di volume che hanno invece caratterizzato l'evoluzione dell'attività industriale. Con ciò non si può dire che l'attrezzatura organizzativa del Piemonte, in campo commerciale, sia scadente. Disponiamoci pazientemente a vedere qualche cifra. Il numero degli addetti al commercio e servizi vari, che nel 1936 rappresentava il 18,2% del totale della popolazione attiva, è salito nel 1951 al 20,8%, percentuale tuttavia inferiore a quella nazionale, che è del 22,7%. I 159.000 addetti al commercio censiti per il Piemonte nel 1951 costituiscono il 10% del complesso degli addetti della categoria in tutta Italia. Il rapporto è quasi uguale a quello del Lazio ed è preceduto da quello della Lombardia. In questo campo, tra le province, viene prima Torino con 60.000 addetti, seguita da Cuneo (25.000 addetti), poi da Alessandria, Novara, Vercelli, Asti e dalla Valle d'Aosta.

Per gli esercizi commerciali all'ingrosso, il Piemonte segue a breve distanza la Lombardia e supera di parecchio le altre regioni: chiaro riflesso dell'importanza della sua produzione industriale. Degno di nota, però, che il numero degli esercizi della provincia di Cuneo rappresenti più della metà di quelli della provincia di Torino. Il distacco fra le province è maggiore per ciò che riguarda i negozi di generi alimentari. Anche qui il Piemonte è al secondo posto con 30.500 esercizi, dopo la Lombardia. Quanto ai negozi di prodotti tessili, vestiario, abbigliamento sarà una sorpresa il constatare che, fatto il posto di punta alla Lombardia, il secondo spetta non al Piemonte, ma alla Sicilia, e che il Piemonte è appena superiore alla Campania e alla Toscana. Le posizioni si ristabiliscono passando alla categoria dei negozi di prodotti meccanici ed affini, dove, per altro, non si notano grandi disparità tra regione e regione. Quanto al commercio ambulante, è interessante notare come per numero di esercizi la provincia di Torino sorpassi quella di Napoli. In fatto di esercizi pubblici — ristoranti, trattorie, bar, caffè, sale da gioco e da ballo, rimesse e noleggi, rivendite di tabacchi e generi di monopolio — il non trovare il Piemonte nelle primissime posizioni sembra testimoniare della laboriosità, delle attitudini casalinghe, della tendenza al risparmio proprie dei suoi abitanti.

La mancanza di organi di controllo e di apposite rilevazioni statistiche rende difficile il concretare in cifre le correnti e la portata del commercio interno tra la regione piemontese ed il resto del paese. I prodotti di cui il Piemonte maggiormente si rifornisce presso altre regioni sono: frutta e verdura, paste alimentari, formaggio, zucchero, olio, pesce, sale, carne, vale a dire in prevalenza quei generi alimentari non consentitigli dalla sua continentalità e dalle sue condizioni climatiche. Per contro esporta riso, canapa, ciliege, nocciole, vini pregiati, vermouth, cioccolato, caramelle, manufatti (come filati e tessuti di cotone, di seta, di lana, di rayon, di nylon, maglierie, calze), macchine: motori, autovetture, autocarri, ecc.; pneumatici, lavori in gomma, prodotti chimici, azotati e farmaceutici, materie plastiche, metalli e lavori in metallo.

Un tipico mercato del bestiame (Fossano).

 

Al mercato in un centro rurale del Piemonte.

 

In campo nazionale Torino è piazza importante come mercato di cereali, di prodotti alimentari in genere, della seta. Una discreta parte del commercio piemontese è rappresentato dalle merci che affluiscono ai mercati generali della città capoluogo. Nel 1957 si sono qui esitati 320.859 quintali di frutta fresca, provenienti per una metà dal Piemonte e per l'altra metà dalla Liguria, dall'Emilia, dalla Campania, dalla Puglia: 1.417.387 quintali di ortaggi e patate, importati per due terzi dalle stesse regioni ora ricordate; 13.251 quintali di frutta secca di provenienza ligure e meridionale; 478.457 quintali di agrumi, provenienti dall'Italia meridionale; 3.407.000 kg. di pesce, per due terzi di provenienza nazionale.

Fiere e mercati continuano ad essere, sebbene meno vistosamente di un tempo, gangli importanti nella rete delle relazioni commerciali, regionali, interregionali e anche nazionali. Vi sono dei mercati specializzati ed altri, naturalmente più grandi, di carattere eterogeneo. Chivasso, Moncalieri, Carignano, Alba, Carrù, Cuneo, si sono particolarmente affermati come mercati del bestiame. Vercelli e Novara sono grandi mercati risicoli. Asti, Alba, Nizza Monferrato, Canelli, Dogliani, contrattano specialmente uve e vini. Alba deve una sua particolare notorietà alla « fiera del tartufo », mentre Cuneo e Garessio mettono specialmente in mostra castagne e funghi. Tra i mercati della frutta e della verdura possiamo ricordare Chivasso, cui affluiscono soprattutto cipolle, carote, cavoli, patate, piselli, fagioli freschi, bietole da costa, pomodori, pere e mele; Carmagnola, che dalle sue campagne riceve soprattutto peperoni, cardi, cavoli, agli, pere e mele; Chieri, che va famosa per i cardi; Cambiano e Santena di cui si celebrano gli asparagi; Canale che è nota per le pesche; Bagnolo e Barge per le pere... e l'elenco potrebbe continuare.

Passando ora al commercio con l'estero è da notarsi che le importazioni più massicce riguardano materie prime di uso industriale: cotone, lana, cellulosa, juta, lino, pellami, materiali ferrosi e non ferrosi, combustibili liquidi e solidi, carburanti, grassi e olii lubrificanti, macchine utensili; poi gomma, prodotti chimici, profumi, carta e cartone, legname da opera. Tra i generi alimentari prevalgono le carni macellate e refrigerate, il pesce fresco e conservato, il pollame, le uova, il burro. Dal Piemonte si esportano soprattutto autoveicoli, aerei, motocicli, automotrici.

Un invito a sostare: le fragole di San Mauro hanno larga e meritata rinomanza.

 

Seguono, per l'importanza del valore, i metalli, i tessuti, i filati, i manufatti di lana, cotone, seta, rayon; vengono poi i vini, i vermouth, i liquori; i cuscinetti a sfere; i pneumatici e lavori in gomma, prodotti chimici e farmaceutici, talco, grafite; dolciumi, frutta e verdura per cifre minori. Quanto alla destinazione delle merci i non molti dati di cui disponiamo riguardano essenzialmente la provincia di Torino, le cui esportazioni si dirigono per il 50% verso l'area dell'OECE, per il 25% circa verso l'area del dollaro, sia nominale che reale, per il 17% verso l'area della sterlina, e per il 4% verso i paesi dell'Estremo Oriente.

Nell'ambito internazionale Torino risente ancora della fama meritata con le magnifiche esposizioni del 1884, del 1898 e del 1911. Attualmente la sua rinomanza in campo commerciale è affidata soprattutto al Salone Internazionale dell'Automobile, manifestazione caratterizzata, oltre che dalla partecipazione di parecchi paesi stranieri (499 espositori nel 1958), dalla larga affluenza di visitatori, e dalla notevole cifra di affari (diverse decine di miliardi nel 1958). Il Salone dell'Automobile conferma a Torino il titolo di « capitale dell'automobile ». Ma Torino aspira pure a conservare il titolo di « capitale della moda », ed ha nel Salone Mercato Internazionale dell'Abbigliamento (S.A.M.I.A.) un efficace strumento di propaganda e di affermazione commerciale della sua produzione e del suo gusto in quel campo. Altra manifestazione di vasto raggio e di attivo richiamo è il Salone Internazionale della Tecnica, cui si accompagnano, nella ridente cornice del Valentino, altre manifestazioni internazionali ormai celebri, come le Giornate Mediche.

Seducente sfilata di modelli al « S.A.M.I.A. ».

 

Eleganza di strutture architettoniche e di macchine al Salone dell'Automobile di Torino.

 

Le necessità finanziarie del commercio possono far capo a una buona rete di esercizi di credito e di assicurazione. Qui il Piemonte, con i suoi 2310 esercizi, pur venendo dopo la Lombardia, supera sensibilmente le altre regioni d'Italia: come le supera, tolti la Lombardia e il Lazio, per i depositi e gli impieghi delle aziende di credito. Ma per la conoscenza, sia pure sintetica, del traffico mercantile è più significativo il gettito della imposta generale sulla entrata, che come è noto, grava in massima parte sugli scambi commerciali. Ora tale gettito, che è stato di 3434 milioni di lire nel 1957-58, vede il Piemonte, dopo la Lombardia, distaccare pure sensibilmente il resto d'Italia.

Con tutto ciò, è bene ripeterlo, l'importanza commerciale del Piemonte non è quella che ci si attenderebbe, dati specialmente gli sviluppi delle sue industrie. Di questa relativa arretratezza s'incolpa generalmente l'isolamento in cui il Piemonte

si troverebbe rispetto alle più frequentate arterie del commercio italiano con l'Europa e con il mondo. Con l'instaurazione della Comunità Economica Europea, le relazioni commerciali tra Italia, Francia, Germania occidentale, Belgio e Olanda dovrebbero incrementarsi con vantaggio dell'economia piemontese. Ma a questo fine, e in ogni caso a favorire un rinvigorimento degli scambi, dovrebbe provvedersi attraverso un migliore assetto delle vie di comunicazione, massime ferroviarie.

Trasporti e comunicazioni

Dell'importanza che hanno avuto in passato le comunicazioni attraverso il Piemonte ci siamo già resi conto, rilevando la caratteristica funzione di nodo stradale della maggior parte delle città piemontesi fiorite in epoca romana, e poi ricordando specialmente le vie del commercio medioevale, che, superando i valichi delle Alpi occidentali, legavano i porti delle nostre repubbliche marinare alle fiere delle Fiandre e della Champagne. Anche oggi, pur essendo profondamente cambiate le condizioni tecniche dei trasporti, il problema delle comunicazioni è per il Piemonte problema vitale. Basterebbe a dimostrarlo, per fermarsi in superficie, la profluvie degli scritti e delle polemiche, che continuano ad agitare vecchie e nuove questioni stradali, ferroviarie, aeree, soprattutto sotto lo stimolo del confronto con la situazione, in questi campi, della vicina Lombardia e di Milano. Ma lasciamo che al di sopra delle recriminazioni e dei contrasti parli la geografia. Uno sguardo alla carta mostra che effettivamente alla piena valorizzazione della posizione geografica del Piemonte, la natura oppone alcuni ostacoli, che se proprio non impediscono, certo rallentano il corso delle comunicazioni.

Intanto, durante otto mesi dell'anno, il Piemonte è quasi tagliato fuori dal resto dell'Europa, perchè le Alpi nevose sbarrano i valichi, e li rendono pericolosi a causa della loro altitudine. L'unica feritoia aperta rimane la vecchia ferrovia del Fréjus, mentre l'altro grande traforo in territorio piemontese, e cioè il Sempione, serve a mettere in rapporto con Berna e con Parigi assai più comodamente Milano che non Torino. Un altro ostacolo è presentato dalle colline che sorgono nel cuore del Piemonte, e che impediscono il formarsi di un unico, regolare sistema di vie a raggiera, dipartentesi da un solo punto veramente centrale. Se è vero che la barriera delle Langhe ha impedito che la Liguria estendesse le sue influenze sulla media valle del Tanaro, permettendo quindi che l'Astigiano venisse attratto verso Torino, è anche vero che quelle colline hanno reso difficili le comunicazioni fra Torino e i porti di Genova e di Savona. E questo, mentre il grande corridoio del Tanaro costituisce esso pure un fattore di minor coesione piemontese, aprendo al Piemonte meridionale un'agevole via di raccordo con la pianura alessandrina, e di qui con Pavia e con Milano.

Il viadotto di Cuneo ricostruito dopo la guerra.

 

Le conseguenze della presenza di un vasto blocco di colline nel bel mezzo del Piemonte sull'andamento delle vie di comunicazione appaiono evidenti a chi osservi, anche superficialmente, lo schema del sistema ferroviario piemontese, e lo paragoni con quello lombardo. Mentre la Lombardia non ha che un unico centro ferroviario veramente importante, quello di Milano, il Piemonte ne ha tre: Torino, Alessandria e Novara, ai vertici dell'area triangolare che abbraccia la collina di Torino e il Monferrato. Questa vasta area interna rimane quasi priva di ferrovie. La linea Torino-Asti-Alessandria-Genova non porta ad Asti per la via più diretta, che attraverserebbe la collina di Torino, ma girando intorno allo sperone di Moncalieri. Da Milano, si snodano, egualmente distribuite ai quattro punti cardinali, 15 linee principali, e i centri ferroviari che fanno corona a Milano sono importanti, non per le loro diramazioni, ma per il fatto di essere luoghi di passaggio di linee a grande traffico. Da Torino, che non è, come Milano, nel bel mezzo della pianura, ma eccentrica rispetto ad essa, si staccano verso ovest due sole linee ferroviarie: una attraversa le Alpi, l'altra muore al loro piede. Le principali linee piemontesi si svolgono tutte tra nordovest e sudest. Alessandria e Novara, già ricordate, ma anche Chi-vasso ed Asti, sono tutte stazioni di passaggio per linee provenienti da Torino, ma per lo più indipendenti, in quanto da esse hanno inizio parecchie linee secondarie.

Scarsa è, da parte piemontese, la penetrazione della ferrovia nell'arco montano. E la cosa si giustifica con la brevità e con la modesta importanza delle valli puramente trasversali. Sono percorse da ferrovia soltanto la vai d'Ossola (fino ad Iselle, per il Sempione), la Valsesia (fino a Varallo Sesia), la vai d'Aosta (fino a Prè-Saint-Didier),

la valle di Susa (fino a Bardonecchia), la vai Vermenagna (da Cuneo a Limone) e la valle del Tanaro (da Ceva a Garessio ed Ormea). Di queste sono a doppio binario ed elettrificate le linee che risalgono la vai d'Ossola e la valle di Susa. Altre ferrovie e tramvie di minor importanza portano all'imbocco di altre valli.

Quanto al resto del sistema ferroviario piemontese, esso risulta, grosso modo, da un intersecarsi di tronchi aventi prevalente direzione ovest-est., con altri diretti, anche qui grosso modo, da nord a sud. Congiungendo i primi tronchi si possono ottenere le tratte: Torino-Novara, Torino-Asti-Alessandria, Torino-Torre Pellice, Moretta-Bra-Alessandria, Borgo San Dalmazzo-Cuneo-Mondovì-Bastia. Congiungendo i tronchi nord-sud si formano le tratte: Airasca-Moretta-Saluzzo-Busca-Cuneo-Tenda-Ventimiglia, Trofarello-Carmagnola-Savigliano-Fossano-Ceva-Savona, Carmagnola-Bra-Ceva, Asti-Nizza-Acqui-Ovada-Genova, Iselle-Arona-Novara-Mor-tara-Alessandria-Novi Ligure-Genova. Sono a doppio binario ed elettrificate le linee Iselle-Arona, Torino-Asti-Alessandria-Genova; a doppio binario sono pure altri piccoli tratti. Sta per essere elettrificata la Torino-Milano.

L'imbocco della galleria del Fréjus sul versante italiano.

 

Se si guarda al numero delle linee, che sono 35 per il compartimento di Torino, alla loro lunghezza complessiva, che è di 1959 km., alla densità della rete stessa, minima nella regione alpina, massima in quella di pianura, con una media di 6,9 km. di linea ogni 100 kmq., e al rapporto con la popolazione che dà 5,2 km. di linea ogni 10.000 ab., appare innegabile che, per dotazione ferroviaria, il Piemonte ha tra le regioni d'Italia una posizione preminente. E si direbbe che lo sia anche per numero di km./treno giornalieri e per numero di viaggiatori e di merci trasportati pure giornalmente per chilometro. Eppure non una delle linee principali delle Ferrovie dello Stato, con bilancio attivo, entra per intero in territorio piemontese. E su 35 linee del compartimento di Torino, ben 23 figurano tra le linee ferroviarie dello Stato a scarso traffico, e 4 tra quelle a scarsissimo traffico.

Che questa relativamente limitata utilizzazione del mezzo ferroviario sia da mettersi in relazione con il rapido, quasi travolgente sviluppo dei trasporti automobilistici, sembra indubbio. Si prescinda pure dagli inconvenienti connessi al fatto che la rete elettrificata piemontese è mantenuta a corrente alternata trifase, mentre il resto della rete nazionale funziona a corrente continua. E certo comunque, che sulle linee minori, la poca frequenza dei treni, la loro lentezza e l'usura, e l'arretratezza del materiale costituiscono un incentivo ad abbandonare, non appena si possa, la rotaia per la strada.

Tanto più che allo sviluppo e al perfezionamento delle comunicazioni stradali si tende con sempre crescente applicazione di capitali e di nuove tecniche. Il Piemonte, dispone oggi di 1633 km. di strade statali, di 4434 km. di strade provinciali, di 16.383 km. di strade comunali. A somiglianza delle altre regioni dell'Italia settentrionale, il Piemonte ha un numero di chilometri di strade statali, rapportato alla superficie del territorio regionale, sensibilmente inferiore a quello proprio delle regioni dell'Italia meridionale. Ugual cosa si verifica per il rapporto tra lunghezza delle strade statali e numero d'abitanti. Il contrario avviene, invece, per le strade provinciali e comunali, proporzionalmente assai più estese da noi che non nel Mezzogiorno. Naturalmente la fittezza della rete stradale apparirebbe ben diversa nella regione di montagna e in quella di pianura.

È altrettanto naturale che il tracciato delle strade di grande circolazione segua da vicino quello delle ferrovie più importanti, mentre l'uno e l'altro si modellano, in sostanza, sulla rete delle antiche arterie romane. Così, anche oggi le strade di più attivo traffico sono, in montagna, quelle della valle d'Aosta e della valle di Susa, e in pianura, la Torino-Vercelli-Milano e la Torino-Alessandria-Piacenza. Ma mentre i più urgenti desiderati ferroviari, come il ripristino della Cuneo-Breil-Nizza e il doppio binario sulla Fossano-Ceva, sembrano destinati a rimanere tali ancora per lungo tempo, in campo stradale, insieme a un superbo fiorire di progetti, si deve registrare, come si diceva, qualche notevole realizzazione. Preme soprattutto di assicurare più rapide ed agevoli comunicazioni con la valle d'Aosta e con Savona. Quanto alla valle d'Aosta, molto colà si attende dagli iniziati trafori stradali del Monte Bianco e del Gran San Bernardo, che dovrebbero inserire la valle stessa, e quindi il Piemonte, nel fascio delle grandi comunicazioni meridiane tra Europa centro-occidentale e l'Italia, venendo così a rompere, o almeno ad attenuare, l'attuale isolamento del Piemonte stesso. L'autostrada Torino-Ivrea, di cui stanno ultimandosi i lavori, va concepita appunto in funzione di un più celere rattacco della capitale regionale all'accresciuto movimento nazionale lungo il corridoio della valle d'Aosta.

Le vie di comunicazione del Piemonte.

 

Si lavora poco sopra Entrèves a forare il Monte Bianco.

 

Quanto alle comunicazioni con Savona — il cosiddetto « porto di Torino » — lascia ben sperare l'entrata in esercizio dell'autostrada Ceva-Savona, che viene in qualche modo a compensare l'allontanamento dal Piemonte della prosecuzione padana della camionale Genova-Serravalle Scrivia. E già si prevede come di più comodo allacciamento con l'Autostrada del Sole, un'arteria autostradale Torino-Piacenza, che segua sostanzialmente da vicino le già esistenti comunicazioni sulla direzione Torino-Asti-Alessandria.

Con tutto ciò, e nonostante vari perfezionamenti, come l'allargamento dell'autostrada Torino-Milano, la rete stradale del Piemonte stenta ad adeguarsi al traffico che si riversa sulle sue arterie. In montagna, la ripidità e le caratteristiche morfologiche del nostro versante impediscono la creazione di strade longitudinali, raccordanti fra di loro le testate delle valli — come avviene invece sul versante francese — sicché il movimento degli autoveicoli non ha altra scelta che il ritorno per la via d'andata. Anche la vasta superficie, presa dalle colline del Monferrato, dell'Astigiano e delle Langhe, limita la varietà e lo smistamento dei percorsi, preferendosi quasi sempre allungare quei di pianura, anziché addentrarsi nell'intrico delle colline, con gli inconvenienti delle continue salite e discese, delle più frequenti curve e della relativa scarsezza dei centri di rifornimento.

Ma il crescente ingorgo delle strade di grande comunicazione è dovuto soprattutto, oltre che alla loro modesta larghezza, al fatto che il Piemonte è la regione d'Italia avente la maggior densità di autoveicoli. Con 15,7 ab. per automezzo circolante, il Piemonte precede il Lazio che ne ha 18,0, la Lombardia con 19,1, l'Emilia-Romagna con 21,9, e tutte le altre regioni. In Torino città si contano 17,7 ab. per autoveicolo, mentre a Milano se ne hanno 19,5, e a Roma 18,2. Evidentemente questo primato piemontese e torinese si ricollega non solo all'alto tenore di vita, ma anche all'effetto psicologico esercitato dalla vasta produzione locale di automezzi, e alle particolari condizioni di favore a cui l'industria li cede ai suoi dipendenti. In questi ultimi anni si sono avute, in media, 25-30.000 immatricolazioni annue di autoveicoli « nuovi », e naturalmente è cresciuto in proporzione il rapporto tra autoveicoli e chilometri di strade, mettendo in sempre maggiore evidenza il bisogno di adeguare la rete stradale alle esigenze del traffico. Dell'aumento di questo possiamo prendere come indice il raddoppio — avvenuto dal 1948 al 1955 — dei veicoli transitanti annualmente e del numero dei passaggi giornalieri sull'autostrada Torino-Milano.

Contemporaneamente, quasi tutte le tramvie extraurbane sono state sostituite con linee automobilistiche, non solo, ma i servizi d'auto si sono capillarmente diffusi fino a raggiungere i centri più lontani della regione, attivando la mobilità dei suoi abitanti e concorrendo non poco a determinare e ad esulcerare i movimenti migratori, cui abbiamo in precedenza accennato. E bisognerebbe ancora trattenersi sulle trasformazioni che molti punti del paesaggio piemontese hanno subito per effetto dello sviluppo delle strade e della circolazione automobilistica, dal moltiplicarsi delle officine di riparazione e dei distributori isolati di benzina e di olio, alle stazioni per linee automobilistiche e alla creazione di piccoli agglomerati « di strada », con servizi di parrucchiere, di ristorante, di alimentari, di generi di monopolio, ecc.

Per le comunicazioni aeree nazionali ed internazionali, il Piemonte dispone di un solo aeroporto: quello della città di Torino, sito a Caselle. Alla vicinanza delle montagne e delle colline, che costituisce una limitazione al libero orizzonte per gli aeromobili, si contrappone il vantaggio, rarissimo in vai Padana, di un campo quasi sempre sgombero da nebbie. E un campo, per giunta, ottimamente attrezzato, specie per i movimenti notturni. Una linea giornaliera collega Torino a Roma; linee stagionali portano da Torino a Parigi e Londra, a Milano e ad altre località. Il traffico, sia dei passeggieri, sia della posta e delle merci, è andato costantemente aumentando. Nel 1958 si è avuto un movimento tra arrivi e partenze di 1427 aerei e di 21.901 passeggieri. Un discreto contributo a questo movimento è dato dal dirottamento di aeromobili, che d'inverno, soprattutto, non possono, per avverse condizioni atmosferiche, massime per la nebbia, atterrare in altri campi.

Un tratto della nuovissima ardita autostrada Ceva-Savona.

 

Nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione si sono aggiunti recentemente in montagna a quelli tradizionali: le funivie e le seggiovie. E un altro campo in cui il Piemonte figura all'avanguardia, perchè conta da solo un terzo degli impianti del genere in tutta Italia: 17 funivie su 45, e 32 seggiovie su 124. Un'attrezzatura di carattere eminentemente sportivo e turistico, che permette alla massa quel contatto diretto con la montagna, prima riservato ad una ristretta cerchia di persone. È molto difficile farsi anche un'idea in termini finanziari e sociali dell'importanza che i trasporti e le comunicazioni hanno assunto nell'economia piemontese. Sappiamo, è vero, dal censimento del 1951, che il numero degli addetti ai trasporti e alle comunicazioni in Piemonte rappresenta soltanto il 2,8% della popolazione attiva della regione, e che tale numero è superato dal contingente della stessa categoria in regioni come la Liguria, il Lazio, la Campania. Come sappiamo che per numero di esercizi il Piemonte sta indietro, oltreché alla Lombardia, all'Emilia-Romagna e alla Sicilia. Ma tale situazione quasi certamente non riflette la reale portata dei trasporti e delle comunicazioni nella scala dei valori economici della regione.

L'aeroporto di Caselle (Torino), ora in via di ampliamento e di ammodernamento.

Regione piemonte il commercio in piemonte

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